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Immagine del redattoreRaffaele Bergaglio

La tutela dell'immagine del cliente dentro e fuori dal processo penale, tra deontologia e buonsenso

Aggiornamento: 9 ore fa



L'immagine processuale

La cronaca giudiziaria in Italia occupa ormai uno spazio centrale nell’informazione quotidiana, attirando un vasto pubblico affascinato dalle dinamiche dei processi, dalle storie personali degli imputati e dal movente. Inoltre, i processi inerenti a reati tipici del mondo delle imprese possono produrre effetti su una vasta cerchia di individui. Questo si riflette nella proliferazione di notizie derivanti dalla carta stampata, programmi televisivi, siti web, pagine social e rubriche dedicate nelle riviste, a livello sia nazionale che locale. In questo contesto, gli avvocati penalisti si trovano spesso al centro di attenzione mediatica crescente, divenendo fonti preziose di informazione per giornalisti sempre alla ricerca di notizie di prima mano.


Il rapporto tra avvocati e media, tuttavia, è un terreno insidioso, che richiede equilibrio e sensibilità. L’avvocato penalista, chiamato a rappresentare il proprio cliente non solo in aula ma anche nell’arena dell’opinione pubblica, si trova ad affrontare scelte delicate: deve rispondere o meno alle domande dei giornalisti? E, se sì, quando e come farlo in modo da tutelare l’immagine del cliente (persona fisica o azienda) senza compromettere la strategia difensiva?


La domanda fondamentale da porsi origina dall’interesse del cliente affinché un’informazione venga divulgata o ulteriormente diffusa tra il pubblico tramite eventuali repliche ad altre notizie.

La risposta varia a seconda delle circostanze. Solo in alcuni casi, soprattutto quando vengono pubblicate informazioni parziali o distorte, può essere utile fornire una precisazione o una smentita per correggere il tiro. Tuttavia, questo approccio richiede estrema cautela, perché il rischio di peggiorare la situazione è sempre dietro l’angolo. L’obiettivo principale deve essere sempre quello di evitare ulteriori danni legati alla reputazione di una persona o di un’impresa.


In tale conteso, dispiace dover costatare che molto spesso le dichiarazioni degli avvocati si rivelano controproducenti per il cliente. Ogni parola pronunciata pubblicamente rischia di diventare oggetto di manipolazione, fraintendimenti o persino strumentalizzazioni giornalistiche che finiscono per avvantaggiare le controparti (il pubblico ministero e le persone offese) oltreché appannare l’immagine del cliente. Inoltre, il dibattito pubblico, alimentato da notizie parziali o sensazionalistiche, può amplificare la percezione negativa del caso, complicando al tempo stesso la gestione del procedimento penale.


L’aspetto più importante da considerare rimane l’interesse reale del cliente. Tendenzialmente, coloro che vengono coinvolti in procedimenti penali preferiscono evitare qualsiasi esposizione mediatica, concentrandosi sulla difesa nelle sedi appropriate. Talvolta, però, dopo la propagazione di notizie inesatte, lesive della propria immagine, essi desiderano replicare per smentire o giustificare determinate situazioni, ritenendo, in questo modo, di migliorare la percezione che gli altri hanno di loro, della loro impresa o del loro prodotto. Sennonché, di solito, essi non si rendono conto degli effetti che una replica poco meditata o troppo abbondante può innescare sul piano mediatico.


Peggio ancora, a volte, fanno gli avvocati: spesso l’opportunità se non l’esigenza di tacere lascia spazio all’istinto di assistere il cliente a 360°, ivi compresa l’area mediatica (nella migliore delle ipotesi), ma a volte anche alla vanità ovvero al desiderio personale di visibilità dell'avvocato. In questo modo tanti colleghi finiscono per anteporre il proprio interesse ad apparire sui media rispetto all’esigenza concreta del cliente.


Invero è la deontologia professionale che dovrebbe guidare l’avvocato penalista in ogni decisione relativa alla comunicazione con i media. Il principio cardine è dato dagli interessi del cliente, che devono rimanere al centro di ogni scelta, nei limiti di liceità. Questo significa, in primo luogo, evitare di rilasciare dichiarazioni se non strettamente necessarie e, in ogni caso, valutare attentamente le possibili conseguenze di ogni parola pronunciata.


Il buonsenso, poi, richiede di considerare non solo le implicazioni legali, ma anche quelle umane e sociali. L’avvocato è chiamato a proteggere non solo la posizione processuale del cliente, ma anche la sua dignità, la sua reputazione e, nel caso delle imprese, il valore del brand e delle relazioni commerciali.


A questo riguardo si dovrebbe altresì tener presente che il cliente (in Italia sono assoggettabili a processo penale anche le imprese) non desidera solo essere difeso; vuole anche che la propria immagine o l’immagine dell’azienda che rappresenta venga riflessa dall’avvocato nel processo ed eventualmente fuori dal processo. Siccome la notizia di un procedimento penale a carico di una o più persone o di un ente non è un’informazione che promuove l’immagine del soggetto interessato, bisognerebbe sempre chiedersi se sia il caso di replicare, in quale misura o, forse, se sia meglio tacere o limitarsi a repliche minimali e soltanto per iscritto. Ne deriva, che la replica deve essere ponderata nella sua qualità, modalità e quantità, sempre che sia prevedibilmente migliorativa anche rispetto ad eventuali contro repliche. Nel dubbio, meglio il silenzio.


In un’epoca in cui la cronaca giudiziaria è sempre più spesso sotto i riflettori, l’avvocato penalista deve sapersi muovere con discrezione e prudenza, resistendo alla tentazione di cedere alle lusinghe dei media. La tutela dell’immagine del cliente, dentro e fuori dal processo penale, è un compito che richiede equilibrio, competenza e un profondo rispetto per la deontologia professionale. Anteporre il buonsenso e gli interessi del cliente alla propria visibilità non è solo un dovere etico, ma anche una scelta strategica per garantire una difesa efficace.

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